Burn out e rischi psico-sociali: lavorare nel settore funerario può significare anche questo

Operatori dei cimiteri, delle cremazioni e delle camere mortuarie, oltre a chi è impiegato all’interno delle agenzie funebri, possono andare incontro a difficoltà assimilabili alle professioni sanitarie. Gli studi scientifici sullo stress lavoro-correlato del settore sono pochissimi, così l’Università di Torino sta provando a capire, utilizzando una metodologia di ricerca rigorosa, quali sono problematiche lavorative degli operatori. Da più di due anni uno staff coordinato dalla responsabile scientifica Lara Colombo, professoressa associata del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino, sta sviluppando una ricerca (finanziata dalla Fondazione San Paolo) per valutare rischi e i fattori protettivi legati allo stress di chi quotidianamente ha a che fare con il lutto. Insieme a lei operano le ricercatrici Annalisa Grandi e Gloria Guidetti.

«Gli studi scientifici sull’argomento – spiega la professoressa Colombo – al momento sono pochissimi: l’attenzione al settore funerario è molto ridotta, mentre ci sono tanti lavori sulla sanità. Per questo abbiamo deciso di indagare un settore ancora poco esplorato e che, sulla carta, deve far fronte a parecchie difficoltà lavorative».

Rischio burn out, gestione del cittadino e delle emozioni proprie e altrui: «gli operatori sono chiamati ogni giorno a fare una sorta di terapia del lutto e di fatto sono poco protetti, come abbiamo capito lavorando sul campo».

Il progetto innovativo ha previsto una prima fase di ricerca attraverso 80 interviste e 14 focus group (per un totale di 134 lavoratori coinvolti) in cui gli operatori rispondevano a una serie di domande proposte dalle ricercatrici e una successiva fase quantitativa che ha previsto la somministrazione di un questionario (284 questionari raccolti). In questi mesi tutti i dati vengono valutati nel dettaglio e i risultati saranno presentati ufficialmente appena dopo l’estate.

«Ci siamo basate su uno studio quali-quantitativo, proponendo interviste, focus group e un questionario. Le difficoltà? Principalmente metodologiche, perché stiamo parlando di realtà molto piccole e dunque anche molto differenti una dall’altra. Però siamo riuscite a farci un quadro preciso grazie a un elevato numero di interviste e focus group, abbiamo raccolto il vissuto delle persone e cercato di capire il motivo per cui hanno scelto questo lavoro. Per qualcuno, soprattutto per chi ha un’agenzia funebre, si tratta di una tradizione famigliare portata avanti da anni, ma c’è anche chi non vive bene quello che di fatto comporta una sorta di stigma e deve fare i conti con una curiosità morbosa da parte delle altre persone».

Allora come si superano i problemi? «Abbiamo riscontrato l’uso di sano umorismo, che non deve assolutamente essere confuso con il cinismo, per sopravvivere a giornate impegnative. Anche il supporto, organizzativo e familiare, risulta essere un importante fattore protettivo».

Lo studio ha riguardato una trentina di realtà operanti nella zona del Torinese: «Abbiamo visto che alcune di loro curano con grande attenzione il proprio personale, perché capiscono che operatori formati sono in grado di garantire quella marcia in più indispensabile in un lavoro difficile come quello funerario».

L’ultima fase dello studio, relativa all’analisi delle interviste e dei questionari, porterà alla presentazione dei risultati. «Volevamo concludere il tutto prima dell’estate, ma il blocco causato dal Covid-19 ha leggermente rallentato le operazioni. Il nostro obiettivo rimane comunque immutato, vogliamo capire il contesto in cui operano queste persone e quindi studiare eventuali misure di intervento, per capire come è possibile migliorare la vita lavorativa».